Stefano Brugnolo, Davide Colussi, Sergio Zatti, Emanuele Zinato (a cura di), La scrittura e il mondo. Teorie letterarie del Novecento, pp. 416, €34,00, collana Studi Superiori.

Quali bisogni o desideri esprime la letteratura? Esistono criteri per stabilire il valore di un testo? Il suo significato muta a seconda del lettore? La letteratura è un gioco fine a sé stesso, un puro divertimento, oppure parla del mondo, lo rispecchia, lo imita? E, in questo caso, secondo modalità trasparenti o deformanti? Il libro risponde a tali domande, ma anche a molte altre, ripercorrendo – in modo chiaro, esaustivo, ma anche problematico – le idee, le parole chiave, le forme discorsive che hanno segnato la teoria della letteratura e la critica dal primo Novecento fino agli studi più attuali (gli studi di genere, gli studi postcoloniali, gli studi culturali). Sono i nodi concettuali con cui si sono confrontati Croce (di cui resta faro, ancora oggi, la sua estetica) e Spitzer, Auerbach (cap. 2 – La critica stilistica tra forme e mondo: Spitzer, Contini, Auerbach) e Bachtin (con la teoria del romanzo polifonico), Lukács e Adorno (fondamentale la sua riflessione sul rapporto tra industria culturale e forma estetica), Genette e Barthes (cap. 5 – Strutturalismo e critica, l’età d’oro della teoria. I modelli di Barthes e di Genette), Girard e Francesco Orlando (tra i massimi esponenti della critica psicanalitica italiana), Gramsci e Said (tra letteratura e colonialismo: gli studi postcoloniali e l’orientalismo). Comprendere come funzioni e a cosa serva la letteratura significa domandarsi che tipo di relazione intercorra tra le parole e le cose e se, rappresentando il mondo, possiamo dare alla scrittura un senso condiviso.

György Lukács (1885-1971).

Marco Zambon, «Nessun dio è mai sceso quaggiù». La polemica anticristiana dei filosofi antichi, pp. 552, €46,00, collana Frecce.

L’espansione del cristianesimo nell’Impero romano, tra II e VI secolo, è stata accompagnata da un processo multiforme di selezione, interpretazione e appropriazione del patrimonio culturale grecolatino da parte di coloro che si erano convertiti alla nuova religione o erano nati in essa. Tale processo ha provocato la reazione, spesso diffidente o ostile, delle persone comuni, delle autorità e soprattutto degli intellettuali. Il libro si occupa di «mettere in chiaro le ragioni della diffidenza e della polemica contro i cristiani da parte dei filosofi antichi», e di illustrare come, nel corso dell’età imperiale, un buon numero di filosofi di tradizione platonica («filosofi, diciamo così, di professione») abbia preso posizione contro i cristiani e composto scritti destinati a confutarne sistematicamente la dottrina. Contro la pretesa dei cristiani di essere anch’essi filosofi, anzi, gli unici sostenitori della Verità, i platonici loro avversari obiettavano che il cristianesimo è per sua natura una dottrina non filosofica, sia perché fondato sulla fede (quindi irrazionale), sia perché i suoi contenuti sono contraddittori e, in ciò che hanno di vero, non fanno che copiare «l’insegnamento dei sapienti della tradizione ellenica, in particolare a quello di Platone», mentre, in ciò che vantano d’avere originale, sono del tutto falsi e insensati. Il titolo del volume riporta alcune parole di Celso, il primo filosofo platonico che condusse una sistematica critica alla dottrina cristiana. Egli pronunciò, per mostrare come il cristianesimo fosse incompatibile con la razionalità filosofica, parole molto nette, tramandateci dal teologo greco Origene: «Nessun dio, o giudei e cristiani, e nessun figlio di dio è mai sceso, né potrebbe scendere quaggiù» (Orig. Contra Celsum [Cels.] V 2). Oltre alla trattazione riservata alla polemica anticristiana dei filosofi neoplatonici antichi, il volume è concluso da una ricca sezione, la quarta, relativa alla situazione giuridica e alle persecuzioni dei cristiani nell’Impero romano, in un arco temporale che da Tiberio (14-37 d.C.) arriva sino a dopo la reggenza di Costantino (306-337 d. C.), fautore di quella che gli storici definiscono la “svolta costantiniana”.

Il Papiro 29, il frammento più antico degli Atti degli Apostoli, la principale fonte per la storia del cristianesimo in età apostolica.

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