Pier Paolo Pasolini, nel corso della sua esperienza letteraria e giornalistica, ha focalizzato la propria attenzione sul fenomeno del fascismo e sulle sue evoluzione politiche, culturali e linguistiche; in particolare, in diverse interviste e articoli apparsi tra il settembre 1962 e il febbraio 1975, egli fa riferimento di volta in volta a tre particolari aspetti del fascismo: quello tradizionale e “archeologico” del ventennio, quello “nominale e artificiale” di frange giovanili degli anni Settanta e quello proprio della civiltà dei consumi, responsabile dell’omologazione culturale del paese e capace di modificare le vite e le coscienze ancor più profondamente di quanto non abbia fatto il regime mussoliniano.

Di seguito verranno proposti degli estratti dai suoi testi più significativi scritti sull’argomento tra il 1962 e il 1975.


“L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.”

(“Vie Nuove”, 6 settembre 1962)


“L’Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. È questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L’Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto solo esprimere quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. […] La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c’è più dunque differenza apprezzabile […] tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c’è niente che distingua […] un fascista da un antifascista […]. Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l’omologazione è ancor più radicale.”

(“Corriere della Sera”, 10 giugno 1974, col titolo Gli italiani non sono più quelli)


“Esiste una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più. Partiamo dal recente film di Naldini: Fascista. Ebbene questo film, che si è posto il problema del rapporto fra un capo e la folla, ha dimostrato che quel capo, Mussolini, che quella folla, sono due personaggi assolutamente archeologici. Un capo come quello oggi è assolutamente inconcepibile non solo per la nullità e per l’irrazionalità di quello che dice, per il nulla logico che sta dietro quello che dice, ma anche perché non troverebbe assolutamente spazio e credibilità nel mondo moderno. Basterebbe la televisione per vanificarlo, per distruggerlo politicamente. Le tecniche di quel capo andavano bene su di un palco, in un comizio, di fronte alle folle «oceaniche», non funzionerebbero assolutamente su uno schermo.”

[…]

“Io credo, io credo profondamente che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato «la società dei consumi». Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. Ed invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata civiltà dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo. […] Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, […] ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di una irreggimentazione superficiale, scenografica, ma di una irreggimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l’anima. Il che significa, in definitiva, che questa «civiltà dei consumi» è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola fascismo significa prepotenza del potere, la «la società dei consumi» ha ben realizzato il fascismo.”

(Intervista a cura di Massimo Fini. «L’Europeo», 26 dicembre 1974)

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