Un’importante novità del Settecento, secolo di rinnovamento culturale e riforme in ogni campo, è rappresentata dai primi tentativi di superare la distinzione classica tra commedia e tragedia e di dare origine ad una forma intermedia tra le due, e del tutto nuova. Nasce così il dramma borghese, in cui individui comuni sono protagonisti di conflitti psicologici di rilievo, interessanti e seri quanto quelli dei protagonisti delle grandi tragedie classiche.

Dopo gli esperimenti teatrali del francese Denis Diderot – il primo a teorizzare il dramma borghese – e del tedesco Gotthold Ephraim Lessing, nei primi dell’Ottocento, con la diffusione del Romanticismo, il dramma borghese fu accantonato a favore della tragedia romantica, un genere che inscenava momenti significativi della storia nazionale e aveva per protagonisti eroi aristocratici e individui dalla statura morale eccezionale.

Nella seconda metà dell’Ottocento, con l’affacciarsi in tutta Europa delle forti tendenze al realismo, in un clima culturale dominato da Positivismo e Naturalismo, si affermò con decisione in dramma borghese, che fino ai primi del Novecento fu il genere teatrale più prestigioso. Il dramma borghese è dunque il genere teatrale che meglio rispose alle aspettative che il pubblico medio ottocentesco trovava soddisfatte nel romanzo. Infatti, proponendo una rappresentazione realistica della società contemporanea, permetteva agli spettatori di rispecchiarsi nelle vicende e di riconoscersi nei dilemmi dei personaggi.

In Europa, i drammi di Henrik Ibsen (1828-1906) e di Anton Cechov (1860-1904) presentavano intrecci che sacrificavano l’intrigo, il ricorso al patetico e il colpo di scena in nome di una maggiore naturalezza delle vicende e dei personaggi. Nei drammi borghesi di fine Ottocento e inizio Novecento i personaggi sono esponenti del ceto medio, talvolta – come nel Giardino dei Ciliegi (1903) di Cechov – affiancati da quelli della vecchia aristocrazia che sono di fatto equiparati alla gente comune. Si tratta spesso di piccoli e grandi eroi del vivere quotidiano, alle prese con problemi familiari, vittime di dicerie e dell’ipocrisia generale. Molti drammi danno risalto ai personaggi femminili, più inclini a sognare una vita che non trova corrispondenze in quella reale.

Čechov legge Il gabbiano agli attori del Teatro d’Arte di Mosca

La Nora di Casa di bambola (1879) del norvegese Ibsen, ad esempio, falsificando una firma e contraendo un prestito in segreto salva il marito dalla malattia ma al contempo crea le basi, senza saperlo, del tracollo del proprio matrimonio; al contrario la Liubòv del Giardino dei Ciliegi si rifiuta, per un’incapacità di agire tipica della mentalità aristocratica, di dividere in lotti edificabili lo splendido giardino dei ciliegi, unico dominio familiare che potrebbe garantirle un profitto, e in conseguenza di ciò va incontro al dissesto economico.

I temi centrali dei drammi borghesi sono rappresentati, in particolare, dai difficili rapporti familiari e dal denaro. Da una parte a minacciare la solidità della famiglia vi sono le incomprensioni tra coniugi, le reciproche menzogne e l’adulterio, dall’altra il collasso economico, l’indebitamento, il rischio di impoverimento e la perdita di rispettabilità che ne segue. In Casa di bambola i due elementi si intersecano e danno origine all’improvviso “risveglio” della coscienza della protagonista, Nora, la quale d’un tratto si rende conto di essersi adeguata ad un genere di vita che il marito e l’etica borghese le avevano cucito addosso e in cui non si riconosce più.

I dialoghi sono espressi con un linguaggio medio, semplice e discorsivo, e spesso si risolvono in confronti su problemi, in discussioni in cui le questioni che stanno a cuore ai protagonisti sono analizzate sotto tutti gli aspetti. Spesso si incontrano monologhi in cui il personaggio si sottopone ad un’indagine introspettiva per cercare le cause profonde del proprio agire o le cause della propria condizione presente.


Consigli di lettura

Henrik Ibsen, Drammi moderni, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 2009, 1158 pp., € 15,00, a cura di Roberto Alonge.

Un ritratto spietato e profondamente pungente del mondo della famiglia e dei rapporti tra i sessi, frutto di un’analisi degna della perizia di Freud. Un universo popolato da eroici capitani d’industria che sacrificano amore coniugale e paterno al lavoro e al potere, come il console Bernick o il costruttore Solness. Da antieroi o individui inetti sempre in attesa di compiere una trasformazione che non avverrà mai, come il dottor Stockmann o Johannes Rosmer. Da dolenti eroine, donne oppresse o represse, protagoniste di vicende luttuose e violente, come Nora o Hedda. E da strazianti figure di figli suicidi per amore dei padri come Hedvig e il piccolo Eyolf. Questa edizione raccoglie i dodici drammi (I sostegni della società; Una casa di bambola; Spettri; Un nemico del popolo; L’anitra selvatica; Casa Rosmer; La signora del mare; Hedda Gabler; Il costruttore Solness; Il piccolo Eyolf; John Gabriel Borkman; Quando noi morti ci destiamo) che l’inventore del “teatro del salotto borghese” dedica alla società sua contemporanea. L’aridità dei rapporti e la brutalità degli istinti si riflette nella lingua dura, carica di simbolismo, che questa nuova traduzione dall’originale norvegese restituisce in tutta la sua potenza innovativa e destabilizzante.


Anton Cechov, Capolavori, Einaudi, 2017, 298 pp., €13,00, a cura di Mauro Martini.

«I monologhi di Anja, di Sonja, di Masha, di Ol’ga, di Irina, nei quali il futuro luccica coi suoi colori come nelle sfere di cristallo delle veggenti somigliano ai finali di certi film di Chaplin, dove l’eroe si allontana svanendo in una lunghissima strada. In realtà la durevole attesa dei personaggi cechoviani si risolve in una torpida assenza, che per noi non è troppo diversa da quella dei due clown che aspettano il misterioso Godot». (Angelo Maria Ripellino) L’edizione raccoglie: Il gabbiano; Zio Vanja; Tre sorelle; Il giardino dei ciliegi.


Anton Cechov, Teatro, Garzanti, 2014, XXXI-528 pp., €12,00, a cura di Gian Piero Piretto.

Autore che sfugge a qualsiasi etichetta, ferocemente introverso, acuto osservatore del decadimento intellettuale e morale della società russa, Cechov anticipa caratteri e temi del moderno teatro novecentesco. L’attitudine rassegnata e dolente di fronte a un ineluttabile sempre sottinteso, l’attenzione quasi morbosa per il dettaglio psicologico aberrante e rivelatore, la capillare ricostruzione di atmosfere più che di vicende, sono alcuni degli elementi caratteristici del suo teatro, modellato sul tragico quotidiano, sul sentimento della “mancanza”, sulle minute pene dell’esistenza umana che celano l’incapacità di trovare una ragione di vita. Il volume contiene le seguenti opere: Sulla strada maestra; Il canto del cigno; Sul danno del tabacco; L’orso; La proposta di matrimonio; Tat’jana Repina; Tragico suo malgrado; Le nozze; La notte prima del processo; L’anniversario; Ivanov; Il gabbiano; Zio Vanja; Tre sorelle; Il giardino dei ciliegi. Introduzione di Fausto Malcovati.


Di Cechov si consigliano, oltre alle opere teatrali, anche i suoi splendidi racconti.

In particolare:

Anton Cechov, Racconti, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 2007, 1015 pp., €16,00, a cura di Eridano Bazzarelli, traduzione di A. Polledro.

L’animo umano è un paesaggio eterogeneo ed enigmatico. Anton Cechov è stato capace di raccontarlo in decine e decine di racconti, tra cui una parte viene presentata tra queste pagine. In ogni racconto vengono indagatati gli abissi e le increspature di ogni personaggio, andandone a recuperare il nucleo di mistero più nascosto. Il grande narratore russo registra gli ultimi sussulti della borghesia del suo paese, costruendo un affresco unitario e nitido.


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