Esiste un filo rosso che percorre la letteratura italiana post-unitaria, offrendo una visione delle vicende socio-politiche del paese in una chiave spesso originale contraddittoria, sempre lucidamente critica e mai consolatoria: è quella degli scrittori, e soprattutto dei romanzieri siciliani, tra i quali si annoverano alcuni dei nostri maggiori scrittori in assoluto, come Giovanni Verga e Luigi Pirandello, ed altri certamente tra i più interessanti della propria epoca, come Federico De Roberto, Elio  Vittorini, Vitaliano Brancati, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Leonardo Sciascia, fino al recentissimo Andrea Camilleri.

Nella produzione letteraria del primo Novecento, la Sicilia gioca un ruolo essenziale nei romanzi di Giovanni Verga, massimo esponente del Verismo italiano, il quale inserisce nelle sue opere aspetti etici e poetici mettendo in luce le contraddizioni del processo unitario.

Premio Nobel per la Letteratura nel 1934, Luigi Pirandello nelle sue novelle e nei suoi romanzi racconta di una Sicilia fatta di miti e credenze ma anche, come accade nel suo unico romanzo storico I vecchi e i giovani, la corruzione delle vecchie classi politiche, dalla quale scaturisce una visione pessimistica dell’agire storico.

La Sicilia costituisce spesso, nelle opere di questi autori, un osservatorio privilegiato dei mali del paese, che vi vengono esaltati e, per così dire, portati alla luce: è così, ad esempio, per i romanzi di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, erede della lezione di Verga, De Roberto e Pirandello. Al centro dei romanzi storici di Andrea Camilleri, uno degli scrittori contemporanei più affermati in Italia e in tutto il mondo, domina l’intreccio di corruzione e malaffare che i governi dell’Italia unitaria non riuscirono ad arginare, sfruttandoli anzi spesso per motivi clientelari e politici.

Lucida coscienza critica della realtà contemporanea, nel culto del razionalismo e dell’Illuminismo, volle farsi Leonardo Sciascia, uno dei maggiori protagonisti della letteratura contemporanea, il quale ora indagò il fenomeno della mafia sotto le vesti del romanzo giallo o poliziesco (Il giorno della civetta, A ciascuno il suo), ora si volse al passato ripercorrendo vicende drammatiche della storia siciliana e ricostruendo, alla luce della razionalismo, le conclusioni cui era giunta la magistratura dell’epoca, spesso condizionata da pregiudizi e interessi politici, ora rilesse le vicende dell’Italia contemporanea denunciandone ipocrisia e compromessi.

In altri autori, invece, la Sicilia appare come un luogo avvolto da un alone mitico, una realtà ancestrale, fuori dal tempo, il contatto con la quale provoca una sorta di rigenerazione morale. È questo il tema sviluppato da Elio Vittorini nel suo romanzo più celebre, Conversazione in Sicilia, in cui il protagonista, Silvestro, emigrato a Milano, ritorna nella terra natia per apprendere la realtà della sofferenza umana e il dovere della solidarietà. In modo simile, la Sicilia si colora dei toni del mito attraverso la rievocazione memoriale e il filtro letterario nei romanzi di Gesualdo Bufalino (Diceria dell’untore, Argo il cieco) in cui l’isola, nella sua sfuggente e multiformità, diventa metafora dell’indissolubile rapporto tra vita e morte.

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