Ascolta il passo breve delle cose
– assai più breve delle tue finestre –
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato: la tua donna.
È fatta di ombre e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.

Alda Merini è una delle voci più belle e intense nel panorama italiano del Novecento. La sua penna pungente e fragile arriva dritta al cuore, tocca i punti più profondi dell’anima con una celerità sbalordente e coinvolge il lettore in una tempesta mistica di sentimenti.

Alda Merini nacque a Milano il 21 marzo 1931, primo giorno di primavera, da una famiglia di condizioni economiche modeste. La sua vocazione poetica si manifestò già all’età di quindici anni, esordendo come autrice giovanissima dotata di grandi qualità letterarie.

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

(da Vuoto d’amore, 1991)

La vita della poetessa fu segnata da una lunga malattia mentale e dalla permanenza in manicomio, condizione che si riflette nella sua intensa produzione lirica, dominata dai temi del dolore, come realtà che accomuna tutti gli esseri umani, e dell’amore, inteso sia come passione sensuale sia come elevazione mistica.

Il manicomio è una grande cassa di risonanza
e il delirio diventa eco
l’anonimità misura,
il manicomio è il monte Sinai,
maledetto, su cui tu ricevi
le tavole di una legge
agli uomini sconosciuta.

(da La Terra Santa, 1984)

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“Sono affascinato dalle lucidità di Alda Merini, spesso ironiche, dal suo vigore poetico e ritengo che Alda sia uno dei nostri poeti più veri, una voce che si lascia parlare dall’ignoto, che procede dalle oscurità piuttosto che dalle troppe sapienze della mente, che sa trascorrere tra i dolori ei deliri senza cedere al compiacimento.”

Franco Loi

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Tra le poesie che amo di più voglio ricordare La mia poesia è alacre come il fuoco.

La mia poesia è alacre come il fuoco
trascorre tre le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura

che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnananna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera

del passato cordoglio che non vede la luce.

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(da Fiore di poesia, 1951-1997)

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