Non è che il pensiero non sia democratico: lo è. Il problema nasce quando pensiamo che la democrazia sia il diritto di non sapere.

Raccontare la situazione scolastica italiana, in un momento di crisi come questo, non è mai un compito semplice. La società di oggi rispecchia l’impreparazione della classe politica dirigente (L’ignoranza al potere, in apertura alla quarta sezione del saggio: Tali e quali), che si lascia sopraffare da un grado limitatissimo di esperienza nozionistica, dove il peso delle parole lascia il tempo che trova; è come se fosse ritornata al famigerato ultimo banco, il banco dei “fenomeni”, dei pigri, degli svogliati, di quelli che hanno paura del primo banco, il banco dei secchioni, il banco delle responsabilità. Con parole attente, fulminanti e incisive, Giovanni Floris, in questo saggio pubblicato da Solferini nell’Aprile 2018, ci illustra come lo sfacelo politico-sociale dell’Italia nostrana si riverberi sulle nostre istituzioni scolastiche, dove il più e il meno, le responsabilità e le inadempienze, sono mirabilmente sconnesse in un pirandelliano giuoco delle parti.

Il saggio è suddiviso in quattro sezioni: Professori, Studenti, Genitori, Tali e quali. Ogni sezione illustra i problemi legati ad ogni aspetto dell’apparato scolastico, dagli insegnanti ai genitori stessi, fino ad una conclusione esplicitamente rivolta alla classe dirigente, sommessamente – ma non troppo – anticipata nella nota introduttiva: Ritorno sui banchi.

Si stava meglio quando si stava peggio? ribatte Floris nella sezione dedicata ai Professori, particolarmente ricca di interventi di docenti di ogni ordine e grado, pronti a testimoniare la scuola che cambia, che si evolve – non sempre in positivo – , che insegna, che vieta, che non fa abbastanza. Una scuola che non fa abbastanza. Come è possibile? Come è possibile che la scuola italiana non faccia abbastanza per garantire un futuro di stabilità ai suoi studenti? Domanda difficile a cui rispondere seccamente, altrettanto difficile trovarne una risposta nei libri o sui giornali o, peggio ancora, nella nostra politica.

La sezione dedicata ai Professori si concentra particolarmente sulle storie di ordinaria follia scolastica, storie dove docenti sono stati aggrediti perché avevano richiamato degli studenti per i loro comportamenti scorretti: Catania, scuola media “Giosue Carducci”, il professor Domenico Morletta, sessant’anni, rimprovera una ragazzina che fa chiasso in corridoio. Lei gli risponde male, lui la avvisa che sarà costretto a informare i suoi genitori. […] Madre e fratello si precipitano a scuola e scovato il professore […] lo aggrediscono a calci e pugni, infierendo su di lui dopo averlo buttato a terra. Ecco come è cambiata la scuola oggi: docenti minacciati verbalmente dalle famiglie dei loro studenti, docenti aggrediti e lasciati in fin di vita, docenti senza più rispetto, sottopagati, costretti, a volte, a prendersi carico dei problemi famigliari dei loro ragazzi; insomma, tutto è diventato un continuo tiro all’insegnante.

Una studentessa romana ormai all’università mi ha detto che le medie erano state per lei il periodo più difficile. Le ho domandato perché fossero stati anni così terribili dal punto di vista psicologico; lei mi ha guardato perplessa e ha risposto: “Psicologico? Quelli picchiavano, altro che psicologico!”. Con questa frase pregnante si apre la sezione dedicata agli Studenti: gli Insopportabili, gli anambiziosi, i solidali, gli esclusi. Sono, quelli descritti da Floris, studenti di tutti i tipi: chi lavora in squadra, chi preferisce starsene in disparte, chi è ambizioso, chi non, chi è insopportabile, chi è l’escluso. Su questi ultimi si concentra Giovanni: gli esclusi. I disabili. Un insegnante di sostegno alle medie mi ha regalato un episodio amaro della sua carriera: “Sono stato fortunato, nella mia storia scolastica ho incontrato sempre presidi in gamba, attenti, capaci di gestire e di organizzare con umanità e professionalità la propria scuola. Solo di uno di loro non posso dire la stessa cosa. […] Un giorno gli chiesi perché in tre sezioni di quella scuola non ci fossero alunni disabili e invece nella altre sezioni ce ne fossero almeno due per classe. “Quelle tre sezioni dobbiamo tenerle così” mi rispose. “Non possiamo sciuparle con i disabili”. Disse proprio così, “sciuparle”. Avrei voluto rispondere che l’inclusione è l’unica vocazione che la scuola pubblica vorrebbe avere. Che gli alunni disabili non sciupano, piuttosto arricchiscono la classe perché presentano un punto di vista nuovo e stimolante sulle cose da imparare. Inaccettabili le parole di questo preside, colui che dovrebbe essere paladino delle diversità e dell’integrazione è diventato invece insensibile baluardo della “normalità”, portatore di una bandiera grigia e spenta che sono i pregiudizi e i preconcetti. Perché togliere la possibilità di vivere la meravigliosa vita scolastica ai “diversi” – disabili o immigrati – ? L’esperienza ci ha insegnato che gli stranieri hanno aspettative enormi: affidano i loro figli all’istruzione scolastica, e considerano un onore fare parte della nostra comunità. Tra gli svariati temi affrontati nella sezione, Floris si concentra sulla fatidica alternanza scuola-lavoro (Quando il lavoro non funziona… e quando sì), sul bullismo, sulla cybercriminalità, sui pericoli della rete, Troppo grandi per fallire, troppo ansiosi per riuscire.

La terza sezione è dedicata ai Genitori, e si può riassumere in questa frase: “Gli studenti non sono un problema”, ha annuito la preside piemontese di un istituto con più di mille ragazzi (e, precisava lei, almeno il doppio tra parenti annessi) “sono la materia del nostro lavoro. I professori sono un caso difficile, ma alla fine li gestisci. La burocrazia impari a maneggiarla. Il problema vero? I genitori.”Genitori (poco) sportivi, genitori che si lamentano per i troppi compiti, genitori che ritengono di poter dire agli insegnanti come comportarsi, genitori, come nel caso della prima sezione, violenti, incontrollabili, genitori invadenti… Sono diventanti un problema mano a mano che sono entrati nella gestione della scuola racconta Roberta, docente di lungo corso in un liceo classico di una grande città. Mio figlio ha sempre ragione: ecco la pretesa di molti genitori di fronte alle inadempienze dei loro figli. E un insegnante dovrebbe giudicare mio figlio? Mio figlio lo giudico io. E a me, non mi giudica nessuno. Tanti altri temi pervadono questa sezione: La sindrome di talento, Lo studente voltante e il senso collettivo, Il proprio posto nel mondo, Il passo indietro

Infine la quarta sezione: Tali e quali. La politica regredisce ai tempi della scuola, e abbiamo visto di che scuola stiamo parlando. Questa regressione produce populismo. Ovvero una superficialità auto compiaciuta che ha perso ogni coordinata di saggezza. È necessario alzarsi, prendere i libri e i quaderni e lasciare il banco dell’irresponsabilità e accomodarsi al primo, il banco delle responsabilità. Il banco che restava vuoto per la paura dei professori e del giudizio dei compagni. È solo il primo passo, perché poi il primo banco bisogna pur meritarselo. Tocca impegnarsi. Ma studiare è meglio di non studiare, sapere è meglio di non sapere.

 

 

 

 

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