Impossibile negarlo, l’uomo è stato e sempre sarà un essere narrativo. Trascorriamo la vita raccontando il passato, da cui inevitabilmente assorbiamo qualcosa; immaginiamo continuamente gli incerti e improbabili risvolti del futuro, realizziamo le nostre scelte in una realtà che formalmente ci appartiene. Viviamo immersi nel costante racconto della nostra vita, delle nostre aspirazioni, e ciò che sentiamo di essere nasce proprio dal bisogno, dalla necessità che abbiamo di raccontarlo. Creare racconti, storie, significa moltiplicare esponenzialmente le possibilità che la vita stessa ci offre, significa aprirsi verso un’intensa e profonda sensibilità emotiva che difficilmente trova spazio tra le faccende di un’esistenza troppo concreta e troppo tangibile. Raccontiamo per capire le cause, le connessioni, le premesse di certi avvenimenti, amalgamandoli insieme per coglierne il senso complessivo che si cela dietro di loro. La narrazione rende l’essere umano ubiquitario, lo teletrasporta in luoghi ameni del passato o in situazioni improbabili del futuro, lo porta a scoprire la parte migliore di se stesso, lo aiuta a ricordare quali sono veramente le sue radici. La letteratura funge, così, da lasciapassare per la totipotenza. In questo risiede probabilmente la sua magia. Al di là dei limiti dello spazio e del tempo, la narrazione, la parola, le storie, hanno lo straordinario potere di influenzare e di cambiare la vita, le idee, i gesti; la loro potenza risiede proprio in questo: cambiare realmente le cose del mondo, smuovere le tortuose acque di una vita in continuo cambiamento. In un mondo come quello di oggi, dominato dalla scienza, dalla medicina e dalla tecnologia, quale ruolo potrebbe avere la magia della narrazione e, dunque, il fascino della letteratura? Se si considerasse il sapere scientifico non come semplicemente un continuo sviluppo di competenze tecniche, non come un’intoccabile torre eburnea, baluardo di una conoscenza infallibile e perfetta, dove spiegare e protocollare su larga scala i fenomeni che mette in luce diviene l’unico orizzonte possibile, se, dunque, la scienza si aprisse verso nuove possibilità, verso nuove valutazioni impegnate e coscienziose di ciò che la circonda, sicuramente si arricchirebbe, avrebbe l’opportunità di creare una fitta rete di corrispondenze con l’infinita eterogeneità delle cose del mondo. In un saggio, che è ormai un classico, Rita Charon (1949), medico internista e studiosa di letteratura alla Columbia University, dove attualmente dirige il reparto di Medicina narrativa, mette in risalto proprio la centralità della narrazione, delle storie di malattia e di cura nella formazione delle future generazioni di medici, infermieri, e nella formazione erogata in servizio. Avvalendosi di un apparato speculativo molto saldo, con un’attenta puntualizzazione teorica di tesi di carattere critico-narratologico, Rita Charon crea un’efficace compenetrazione tra pratica medica e prassi narrativa, definendo, già dalla prefazione, il punto focale della sua ricerca: l’elaborazione della medicina narrativa. Apparentemente, posta così, l’espressione potrebbe apparire un bisticcio. Cosa potrebbe mai, infatti, accomunare la pratica medica con la narrazione? «Possiamo definire “narrativa” quella medicina praticata con le competenze che ci permettono di riconoscere, recepire, interpretare le storie di malattia e di reagirvi adeguatamente. Quando vogliamo descrivere la situazione particolare di un individuo nel corso del tempo e capire perché succede qualcosa, ci serviamo della narrazione. Ordiniamo cronologicamente i fatti, stabiliamo un inizio, una parte centrale e una fine, creando rapporti di causa ed effetto attraverso la trama. Ascoltiamo o ricordiamo i miti, leggende, aneddoti, romanzi, testi sacri. […] Realizziamo attività fondamentali dell’esistenza come accettare gli altri e noi stessi, rimanere in contatto con le tradizioni, dare un senso agli eventi, rendere omaggio ai nostri legami. Grazie alla medicina narrativa, si può identificare meglio la malattia, trasmettere sapere e rispetto, collaborare con umiltà tra colleghi, accompagnare il paziente, insieme con la sua famiglia lungo la sofferenza. Si possono offrire cure più etiche ed efficaci.» Dall’appassionata prefazione del libro della Charon (tra l’altro tradotto e pubblicato in Italia, a distanza di tredici anni dalla sua scrittura nel 2006, da Raffaello Cortina Editore) si evince l’assoluta e perfetta compenetrazione tra medicina e letteratura, risultando così questa fusione scevra da qualsiasi antitesi o bisticcio vi si voglia trovare al suo interno. La medicina narrativa, e questo è il punto focale, si basa sulla capacità di riconoscere e interpretare le storie di malattia per reagirvi adeguatamente. Raccontare, narrare, non è opera sicuramente semplice. Tradurre in parole l’angoscia, l’ansia, l’apprensione, il dolore, è molto difficile, se non addirittura un’operazione impossibile. L’ammalato, infatti, ha la necessità di sentirsi compreso, di essere accompagnato in un percorso molto duro, di condividere la sua sofferenza con qualcuno. Trasponendo in parola eventi e personaggi, diritti e doveri, le storie fanno sì che i nostri comportamenti cambino, si evolvano, per permettere una migliore valutazione delle azioni e dei gesti degli altri. Il sapere narrativo, osservando da vicino le persone alle prese con la vita, getta luce sul carattere universale della condizione umana, rivelando il particolare. Il professionista della salute che ha a che fare con un paziente dovrebbe sintonizzarsi con lui, adottare il suo punto di osservazione, tradurre in linguaggio i suoi sentimenti e i suoi pensieri. La narrazione, come la medicina, nota Rita Charon, «crea sempre un legame tra due persone; e il legame tra due persone, si può dire, crea sempre una narrazione.» La competenza narrativa si distingue nettamente da quella scientifica per la capacità di cogliere ciò che è unico. Ogni narrazione, difatti, è originale e irripetibile, dalla genesi alla struttura. La pratica di narrare le storie fa emergere, inevitabilmente, qualcosa che si vede per la prima volta: essa infatti non si limita ad esporre o a riportare un oggetto che già esisteva, ma lo crea. Nella medicina narrativa, dunque, si costruiscono trame, si creano corrispondenze, si indaga in maniera costruttiva, creativa e fiduciosa nella vita del malato, per arrivare a stabilire, infine, una diagnosi più ampia, profonda e differenziale. In conclusione, come fa notare Paul Ricœur, «raccontiamo delle storie perché, in ultima analisi, le vite umane hanno bisogno e meritano di essere raccontate.»


L’AUTRICE

RITA CHARON (1949), medico internista e studiosa di letteratura, ha creato e dirige il Programma di medicina narrativa alla Columbia University. Si occupa di medicina narrativa da quasi trent’anni, ed è la personalità più nota a livello mondiale in questo campo. Suoi contributi sono apparsi, tra gli altri, su Annals of Internal Medicine, Journal of the American Medical Association, The Lancet e The New England Journal of Medicine.


SCHEDA DEL LIBRO

Titolo: Medicina narrativa. Onorare le storie dei pazienti

Autore: Rita Charon

Casa Editrice: Raffaello Cortina Editore

Prezzo: 25,00 €

Anno di pubblicazione: Luglio 2019


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