Docente di Lingua e Letteratura latina all’Università di Siena, Mario Lentano ha dato alle stampe per Carocci Editore l’interessante volume «Vissero i boschi un dì». La vita culturale degli alberi nella Roma antica (pp. 248, €24,00, collana Frecce), in cui «palme e cipressi, noci e allori, fichi, prugni, viti, querce, cornioli e altre piante ancora faranno la loro comparsa nelle pagine del volume in riferimento alle funzioni che nei testi della letteratura latina essi sono chiamati a svolgere come operatori cognitivi e simbolici, nonché come protagonisti o comparse di miti, discorsi, racconti e metafore. Anche una semplice rassegna di tali funzioni basta infatti a confermare che gli alberi, non meno di quanto accada per gli animali non umani, […] sono nella cultura romana “buoni da pensare” e al tempo stesso “buoni per pensare”, nel senso che essi si prestano a giocare una pluralità di ruoli e svolgere una vasta gamma di funzioni diverse in ambiti molteplici come quelli della storia sociale, della biografia individuale, della religione, della medicina, dell’etica, della memoria collettiva, del diritto». Articolati in dieci densi capitoli, il volume si snoda dalla storia delle piante prima degli uomini al sesso degli alberi; dall’identità botanica degli dèi agli alberi dei Cesari; dall’adulterio degli alberi agli alberi degli impiccati. Dalle querce che hanno dato la vita ai primi esseri umani al fico cui sono legate le sorti della città eterna, dal pioppo che annuncia la futura grandezza di Virgilio ai due mirti che fioriscono insieme con le fortune politiche di patrizi e plebei, dai platani che bevono vino ai prugni che commettono adulterio, dalle metamorfosi vegetali al dibattito sull’anima delle piante: gli alberi occupano, allora, nell’immaginario dei Romani una posizione di grande rilievo, che investe il diritto e la religione, il mito e la tecnica, il pensiero filosofico e le dottrine scientifiche. Un mondo vegetale che vive e prospera, alimenta l’immaginazione e la creazione, che in altri termini «è percepito come una manifestazione della realtà che precede l’ingresso degli esseri umani sulla scena della vita: al pari di quanto accade nel mito cosmogonico della Genesi, che colloca la creazione di erbe e piante nel terzo giorno, mentre l’uomo e la donna fanno la loro comparsa solo nel sesto, anche per le culture esplorate in questo libro, gli alberi sono qualcosa che è “già lì” quando gli uomini azzardano i loro primi passi sulla terra». Non aveva dubbi in proposito il filosofo di Agrigento, Empedocle, e infatti sosteneva «che gli alberi furono i primi viventi a sorgere dalla terra, quando ancora il sole non aveva iniziato a percorrere la sua orbita nel cielo». Organismi a tal punto arcaici e quasi al di là della storia, gli alberi, tanto che in essi non è possibile neppure identificare «la fondamentale distinzione tra il maschile e il femminile quale si coglie a partire dal successivo gradino del mondo vivente, quello occupato dagli animali». Il libro, in conclusone, esplora in un viaggio affascinante e ricco di sorprese le molteplici forme assunte dall’interazione tra uomo e pianta nell’orizzonte intellettuale e nelle pratiche simboliche della cultura romana.

Una bordura di alberi, palme e piante erbacee da un pozzo romano.

Dopo quasi un quarto di secolo dalla sua prima pubblicazione, arriva in Italia, per le cure di Federico Santangelo (docente di Storia antica alla Newcastle University), il corposo volume Il mare che corrompe. Per una storia del Mediterraneo dall’Età del ferro all’Età Moderna (Carocci Editore, pp. 608, €54,00, collana Frecce), di Peregrine Horden (docente di Storia medievale alla Royal Holloway, Università di Londra) e Nicholas Purcell (docente emerito Camden di Storia antica all’Università di Oxford e fellow del Brasenose College e della British Academy). Dopo i lavori dello storico francese Fernand Braudel, e in particolare del volume Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, divenuto un classico della storiografia sul Mediterraneo, The Corrupting Sea è stato il primo studio ad affrontare il rapporto fra uomo e ambiente nella regione del Mediterraneo nell’arco di circa tremila anni. Come notano i due autori nella Prefazione all’edizione italiana, «la nostra speranza era quella di individuare modelli di comportamento umano che potessero arricchire la ricerca storica, rendendo possibile il confronto fra località attraverso tutto il Mediterraneo e in una grande varietà di periodi». Sin dall’inizio, infatti, «si è data maggiore priorità alle alternative ai vari temi più radicati nella periodizzazione convenzionale, e soprattutto all’histoire evenementielle», quindi prediligendo «denominatori comuni e incroci, confronti utili perché in qualche modo “mediterranei”». L’esito «è stato un insieme di modelli collegati tra loro, basati sulle condizioni ambientali e sulle relazioni ecologiche», col fine di garantire una sorta di sensibilità su questioni spesso marginali della storia del Mediterraneo. Questa edizione italiana, che arricchisce ed amplia gli studi sul bacino del Mare Nostrum, sottolinea la dimensione ecologica e il ruolo della connettività nella storia mediterranea, testimoniando la lungimiranza e attualità del modello interpretativo di Horden e Purcell.

Mappa del Bacino Mediterraneo, il “mare che corrompe”.

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