Docente di Letteratura italiana e Tradizione del testo drammatico all’Università degli Studi di Genova, studiosa di poesia e di teatro cinque-secentesco e del Novecento, Simona Morando ha dato alle stampe per Carocci Editore il volume La letteratura teatrale italiana. Il testo drammatico e la sua storia dal Medioevo al Novecento (collana Studi superiori, pp. 424, €37,00), che ricostruisce, con una ottima sintesi critica (una «piccola storia della letteratura teatrale italiana»), la tradizione del testo drammatico italiano dalle origini primo-duecentesche alle soglie degli anni Duemila. I primi due capitoli del volume, Essere o non essere (I) e Il testo drammatico: com’è fatto e come analizzarlo (II), riflettono sulle questioni metodologiche e problematiche di fondo, fungono, quasi come un vademecum, da strumento orientatore per comprendere con più esattezza la specificità del testo teatrale e le sue mutate formulazioni nel corso della storia. Il testo drammatico necessita di un costante inquadramento storico, così come lo richiede lo studio della letteratura per generi, perché esso «è una scrittura che viene formulata all’interno di una specifica tradizione, secondo forme riconoscibili ma capaci di rinnovarsi, che mantengono la centralità della parola» (p. 21). La letteratura teatrale «intende individuare i soli testi scritti per il teatro, pur preservando il ricchissimo dialogo con la tradizione letteraria. Essa svolge dunque un ruolo fondamentale nel tracciare una linea storiografica parallela a quella prettamente letteraria, in cui diversi sono i valori, diversi sono i principi teorici, diversi sono i sistemi di creazione del testo, diversi sono i sistemi di esecuzione del medesimo, diversa è anche la trasmissione ai posteri, affidata sì – ma non sempre – ai libri, più spesso alla “memoria del teatro”, che è anche memoria dell’attore» (p. 13). Il volume, allora, articola una storia del testo drammatico in Italia, dal Medioevo fino al passaggio tra il Novecento e il Duemila, inseguendo le trasformazioni e gli eterni ritorni delle forme, dei generi e delle poetiche, ascoltando le complicità tra la pagina e la scena, incontrando le maggiori opere teatrali e una coralità di autori che ha cercato appassionatamente di raggiungere sia i lettori sia gli spettatori nel corso dei secoli. «Oggi la cultura del libro teatrale è molto radicata», conclude Morando nel primo capitolo. «Anche a fronte di forme teatrali postdrammatiche che o non contemplano minimamente una drammaturgia scritta o, se la contemplano, la accettano come materiale di scena e dunque non ritengono l’approdo alla stampa necessario, ci sono molti autori drammatici che rendono subito disponibili i testi e ci sono specifiche collane editoriali che li accolgono. Si apre così la possibilità di stabilire ponti o di saggiare discrasie tra i testi e le scene, gioco possibile anche grazie alla riproducibilità digitale dello spettacolo, pur con i dubbi già espressi. Si tratta di un processo molto in divenire: non resta che stare ben vigili e osservare» (p. 20).

Le sofferenze di Aminta, dipinto di Bartolomeo Cavarozzi. L’Aminta è una favola pastorale composta nel 1573 da Torquato Tasso e pubblicata nel 1580 circa.

Un volume prezioso, forse quasi indispensabile per gli amanti dell’autore di Romeo e Giulietta, Tutti i sonetti di William Shakespeare (Carocci Editore, collana Lingue e Letterature, pp. 524, €54,00), a cura di Paul Edmondson e Sir Stanley Wells, traduzione italiana a cura di Silvia Bigliazzi, offre una prospettiva ra­dicalmente nuova sulla produzione in versi del poeta e drammaturgo inglese, poiché colloca i sonetti del Bardo in ordine cronologico unitamente a quelli composti per i drammi durante l’intera sua carriera. «Leggere I Sonetti di Shakespeare può sembrare a tratti come leggere messaggi di vita in miniatura, trasformati in poesia: le relazioni del poeta, le inquietudini interiori, i sentimenti di moralità, il rimpianto, il disprezzo di sé, il senso di colpa, ma anche le gioie e la gratitudine. Ma piuttosto che trasformare questi elementi in una narrazione autobiografica, possiamo leggere I Sonetti come tracce della sua personalità, come se le poesie fossero il suo libro di memorie affettive, psicologiche e spirituali, in parte costruite dai suoi discorsi rivolti ad altre persone, in parte dai suoi soliloqui recitati principalmente per sé stesso. In alcune di esse sembra compiacersi della propria ingegnosità, della compattezza della propria espressione […]. Compose i sonetti a Stratford-upon-Avon e a Londra, e probabilmente li elaborò mentalmente mentre svolgeva le sue attività quotidiane, come fanno i poeti, e mentre faceva la spola a dorso di un cavallo tra il paese e la città tra i quali si divideva» (pp. 40-41). Il riordino dei Sonetti rispetto all’edizione del 1609 (erano in totale 154), accanto ai sonetti tratti da drammi come I due gentiluomini di Verona, Romeo e Giulietta, Sogno di una notte di mezza estate, fino a Cimbelino ed Enrico VIII, permette di leggerli al di fuori di tradizionali biografismi, per valorizzarne la mobilità tematica e la molteplicità dei loro possibili destinatari. Per la prima vol­ta nella storia delle edizioni dei Sonetti, viene mostrato il dispiegarsi dei moti del desiderio e della gelosia, delle prove d’amore e delle sue bugie, della lotta del poeta con il Tempo e del senso della morte e dell’immor­talità dell’arte nell’incontro fra poesia e teatro. Questa nuova traduzione (si veda la Nota alla traduzione di Silvia Bigliazzi, in cui si sintetizza il modello che la traduttrice ha cercato di applicare in questo contesto), attenta alle caratteristiche di entrambi i generi, consegna al pubblico ita­liano la loro inesausta complessità.

Frontespizio originale dei Sonetti (1609).

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