Popolo chiave per lo sviluppo della storia europea e per le vicende politico-culturali del cuore dell’Asia, i Mongoli sono stati oggetto d’intensa rivalutazione in sede storiografica: le tendenze più recenti, infatti, hanno notevolmente ridotto «l’idea consolidata di un’ora irresistibile e numerosa contro le civiltà asserragliate dietro le mura delle città fortificate» e delle conseguenze di questa dominazione nel medio e lungo periodo, e hanno invece posto l’attenzione sulle particolarità economiche, culturali e militari – sia stringendo la lente d’indagine sulle singole realtà regionali, sia osservando il fenomeno da una prospettiva geografica più ampia – della complessa e stratificata dominazione mongola, anche in relazione ad una folta pluralità ed eterogeneità di fonti storiche (ad esempio le fonti storiche cinesi, fino a pochi anni fa accessibili solo agli specialisti di sinologia). Partendo da queste necessarie premesse, Lorenzo Pubblici, docente di Storia e culture dell’Asia centrale premoderna presso l’Università di Napoli l’Orientale, esperto del nomadismo e in particolare dei rapporti fra nomadi e società sedentarie nell’Asia centrale e nella Russia del Medioevo nei secoli X-XV, ha dato alle stampe per Carocci Editore il volume Storia dei Mongoli. Dalle steppe all’impero (secoli XIII-XV) (pp. 368, €34,00, collana Frecce), che presenta la storia dei Mongoli e dell’impero che edificarono alla luce di nuove acquisizioni storiografiche: una società nomade, molto stratificata al suo interno, «per secoli sigillata nelle steppe fra i monti Altaj e il deserto del Gobi, che effettuava razzie ed incursioni estemporanee oltre la frontiera cinese, dall’inizio del XIII secolo uscì da quel contesto ambientale per dare inizio alla più colossale delle campagne di conquista mai realizzate nella storia dell’uomo. In pochi decenni la cavalleria mongola conquistò gran parte della Cina, l’Asia centrale, la Persia e il Medio Oriente, il Caucaso, la Rus’, sconfisse gli eserciti dell’Europa orientale per poi tornale in Cina. I Mongoli sottomisero la Corea, conquistarono il Tibet e il Vietnam. Completarono la conquista della Cina con la vittoria sulla dinastia Song nel 1279. Tentarono due volte, senza successo, di conquistare il Giappone. Un’esperienza che ha cambiato il corso della storia umana» (dall’Introduzione). Attraverso il rigoroso ricorso alle fonti e alla più recente ricerca storiografica, il volume ricostruisce la storia dei Mongoli e del loro impero, analizza le dinamiche politiche, la cultura, l’economia e le complesse relazioni che questo popolo instaurò con le grandi civiltà dell’epoca. Ad esempio, «nell’ambito della storia culturale un posto di rilievo è occupato dall’aspetto religioso. È noto che i Mongoli mostrarono sempre un atteggiamento tollerante verso le religioni delle comunità conquistate. In molti casi si trattava di Realpolitik, di un atteggiamento dettato dalle necessità politiche contingenti, ma non c’è dubbio che durante la dominazione mongola il clero, da quello cristiano a quello islamico, godette di libertà e privilegi». L’impero mongolo, ora riesaminato da una prospettiva più aperta e inter-culturale, e anche grazie al contributo della linguistica, dell’archeologia, della storia dell’arte, dell’antropologia e di altre scienze, fondamentali per la comprensione del fenomeno storico, viene così riportato alla sua storicità, senza minimizzare l’impatto distruttivo che l’avanzata nomade ebbe sia in Asia sia in Europa, ma cercando di capire a fondo quali ne furono le cause dell’espansione, gli sviluppi e le conseguenze: un viaggio alla scoperta di un popolo che, nel bene e nel male, ha lasciato un segno destinato a modificare, in maniera irreparabile, la storia dell’Occidente quanto la storia dell’Oriente.

L’avanzata mongola in Eurasia.

Nel ricco volume di Martin Conway (docente di Storia contemporanea alla Oxford University e visiting fellow della Princeton University) L’età della democrazia. L’Europa occidentale dopo il 1945 (Carocci Editore, pp. 424, €39,00, collana Frecce), la democrazia viene studiata e analizzata da un osservatorio privilegiato, attraverso «la lente della storia»: il volume, come chiarisce l’autore nella Prefazione, non si propone di spiegare il presente attraverso le categorie del passato; si escludono a priori concetti quali la «crisi della democrazia» o la sua «fine imminente» che caratterizzano la mentalità attuale. La democrazia, nei decenni successivi al 1945, non era solo un regime politico, «ma parte dell’identità dell’Europa e del modo in cui le generazioni di europei del dopoguerra definirono chi erano e come vivevano le loro vite». Il volume si fonda su cinque criteri basilari: costruire la democrazia, pensare alla democrazia, dibattere sulla democrazia, vivere la democrazia, contestare la democrazia. Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale «l’instaurazione in Europa occidentale di un regime stabile di Stati-nazione democratici non fu l’esito ineluttabile di un qualche processo di lungo periodo o delle sorti del conflitto: la sua origine risiede invece nella triplice convergenza tra i dettami delle circostanze, le intenzioni dei governanti e le aspirazioni dei governati. Questa democrazia non era perfetta; anzi, per diversi e importanti aspetti era deliberatamente imperfetta […], in quanto sacrificava la sovranità popolare al più pragmatico obiettivo della ricostruzione di un potere statale effettivo. […] La democrazia dell’Europa del dopoguerra fu una grande improvvisazione, che dei modelli di governo democratico precedenti aveva scartato più elementi di quanti non ne avesse presi in prestito e che finì con l’acquisire una coerenza retrospettiva ben maggiore rispetto a quella che possedeva al momento della sua creazione. Eppure, proprio perché plasmata dalle varie pressioni del suo tempo, la democrazia che prese forma in Europa occidentale alla fine degli anni Quaranta rifletteva da vicino le realtà sociali dominanti dell’epoca, soprattutto per quanto riguarda la priorità accordata all’autorità statale e alla rappresentanza dei diversi gruppi di interesse, nonché l’avversione nei confronti dei governi maggioritari. […] La svolta democratica successiva al 1945 non fu tanto una celebrazione della sovranità popolare, quanto un meccanismo pragmatico con cui gli europei gestirono e negoziarono le loro numerose divergenze ideologiche, di identità politica e confessionale e di interessi materiali» (dalla Conclusione). Lasciandosi alle spalle i radicalismi e le violenze dei decenni precedenti, i sistemi democratici post-bellici riuscirono a garantire inaspettatamente stabilità e prosperità grazie a politiche di compromesso sociale e sviluppo economico.

Nascita della Repubblica Italiana.

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