Nel mondo delle Case editrici italiane un posto di prim’ordine spetta certamente ad alcune loro collane editoriali, che, sin dalla fondazione e poi nel corso dei vari decenni, hanno accolto e continuano ad accogliere le migliori opere della letteratura italiana e straniera e la più raffinata ricerca scientifica, storica e letteraria. Oggi proponiamo alcuni consigli di lettura proprio pescati da tre collane particolarmente significative per la storia culturale di questo paese: la collana Collezione di Poesia (Einaudi), fondata nel 1964 e disegnata da Bruno Munari in collaborazione con Max Huber; la collana Studi superiori (Carocci), tra le massime di saggistica italiana e straniera, e la collana Lo Specchio (Mondadori), tra le più gloriose nella storia della poesia italiana (basti pensare alla pubblicazione, in questa collana, di quasi tutte le raccolte poetiche montaliane in prima edizione).

EUGENIO MONTALE - Satura 1962-1970 - Mondadori Ed., 1971. Prima edizione  EUR 15,00 - PicClick IT
Satura (1971), Eugenio Montale. Prima edizione nella collana mondadoriana Lo Specchio.

Dalla Collezione di poesia Einaudi – detta anche peculiarmente “la bianca”, per via della sua limpida grafica di copertina – consigliamo due raccolte poetiche, recentemente pubblicate: Quaderni di mosca, del poeta russo Osip Mandel’štam, per le cure di Pina Napolitano e Raissa Raskina (pp. 344, €16,50). «Con i Quaderni di Mosca, a partire dal 1930, si apre la cosiddetta seconda stagione della poesia di Mandel’štam, caratterizzata dall’abbandono del tono classico ed elevato a favore di una mescolanza di registri stilistici e forme metriche, un laboratorio in cui conta più di tutto lo «slancio» poetico. Sia il ciclo del viaggio in Armenia che apre il libro, sia quelli successivi ambientati a Leningrado e a Mosca presentano una poesia diretta e colloquiale, in grado di mescolare immagini della vita quotidiana con dotte citazioni letterarie. Questo libro non era mai stato integralmente tradotto in italiano. Ci hanno pensato Pina Napolitano e Raissa Raskina, offrendoci anche un indispensabile apparato di note in fondo al volume che permette di recuperare i molti riferimenti alla vita sovietica e alla biografia personale che il poeta distribuisce o, per meglio dire, fa esplodere nei suoi versi». La raccolta Quando non ci sono, del poeta spagnolo Alfonso Brezmes (pp. 160, €12,50), «si nutre di riferimenti letterari (Baudelaire, Rilke…) ma anche di cinema e di cultura pop. La principale caratteristica stilistica di Brezmes sta nella capacità di coagulare i temi che più gli stanno a cuore in immagini icastiche o in paradossi logici o in metafore taglienti come sentenze definitive. Spesso queste accelerazioni di senso avvengono negli ultimi versi, dando alle poesie un taglio decisamente epigrammatico. Ma rispetto alla tradizione dell’epigramma, manca in Brezmes qualsiasi vocazione moralistica. Le sue clausole spettacolari aprono scenari di commossa perplessità».


Per rimanere sempre sul versante generale della poesia, ma spostandoci molti secoli prima, Carocci editore ha recentemente pubblicato il saggio Gli dèi di Omero. Politeismo e poesia nella Grecia antica, a cura di Gabriella Pironti e Corinne Bonnet (pp. 312, €28,00). «Gli dèi di Omero non sono semplici personaggi letterari, ma complesse e straordinarie costruzioni poetiche che danno corpo e parola alle divinità onorate dai Greci. Il libro è un’indagine a più voci volta a delineare i tratti specifici del politeismo omerico e le particolarità della rappresentazione del divino così come emergono dai poemi. Nei nove capitoli in cui si articola il volume, una particolare attenzione è dedicata all’intreccio narrativo, che vede gli dèi dell’Olimpo interagire con le creature mortali e influenzare il loro destino, nonché alla struttura stessa del mondo divino, con il suo funzionamento e le sue tensioni, e alla religione vissuta dai protagonisti, attraverso l’analisi di riti, luoghi e attori del culto. Nel restaurare una lettura integrale dei poemi omerici, si esaminano le forme mutevoli degli dèi, le loro strategie tra l’Olimpo e la terra, e l’intrecciarsi costante di azioni divine e vicende umane nel farsi del racconto, dalle mura di Troia alle rive di Itaca. Ritrovati gli dèi, la poesia epica ritrova se stessa e ricomincia a sorprenderci».


La storica collana di poesia Mondadori, Lo Specchio, si è da poco arricchita di due preziosi volumi, da tempo fuori catalogo e difficilmente reperibili: il primo è Farfalla di Dinard, di Eugenio Montale (pp. 448, €22,00), raccolta di racconti brevi scritti tra il 1946 e il 1950 per la terza pagina del Corriere della Sera e del Corriere d’Informazione e pubblicati in prima edizione nel 1956 da Neri Pozza, ripubblicati poi nel 2021 a quarant’anni dalla morte del poeta (1981). «Con il passare dei decenni, Farfalla di Dinard (1956) sempre più consolida la sua natura di classico speciale per l’estro dei suoi brevi capitoli, in cui l’impareggiabile eleganza della scrittura ci offre pagine che oltrepassano i normali confini di genere tra racconto, elzeviro e prosa poetica. Eugenio Montale ci propone una formidabile e godibilissima serie di ambienti e personaggi, più o meno internazionali, tra i quali compare anche Clizia, figura chiave nei suoi versi. Come scrive nel suo importante saggio introduttivo Niccolò Scaffai, i movimenti interni di Farfalla di Dinard agiscono essenzialmente nell’incontro-scontro “tra la vivida presenza del ricordo privato e la sua marginalità rispetto allo sfondo storico, ai grandi eventi pur costantemente rievocati”. Montale parte da episodi della sua infanzia e della sua giovinezza, tratteggiando poi, con essenzialità esemplare ravvivata da impeccabili battute di dialogo e momenti di raffinato humour, i brevi ritratti stilizzati di tipi spesso grotteschi, di bizzarri snob per lo più inaffidabili, immersi in un mondo ormai perduto. Prosegue con testi dedicati ad animali e oggetti capaci di attivare il gioco della memoria, concludendo con una serie di quadretti in cui egli stesso ci appare alla luce dei suoi tic esistenziali. Un insieme al tempo stesso apertamente articolato e internamente coerente, tra accenni autobiografici, invenzione e acutezza critica sul mondo circostante. Un’opera grazie alla quale, come scriveva Marco Forti, “se anche Eugenio Montale, paradossalmente, non avesse scritto e pubblicato un solo verso», non avrebbe «mancato di lasciare una traccia anch’essa primaria”». Il secondo volume, anch’esso da tempo irreperibile, è L’angel (1994), del poeta Franco Loi (1930-2021) (pp. 416, €20,00), uno «splendido e formidabile romanzo in versi e al tempo stesso poema che, partendo dalla viva esperienza dell’autore, ci porta nei rivoli della storia attraverso un fitto succedersi di vicende. Come scrisse Cesare Segre nel risvolto della prima edizione, “Loi ci dà una specie di autobiografia trasformata in visione”, dove il mito dell’angelo caduto, nella sua nostalgia di Paradiso, spazia in una realtà mista di amore e dolore, di follia e di passione, anche politica. Realistico e fantastico insieme, Franco Loi giunge alla poesia utilizzando i più vari elementi dell’esperienza e realizzando un organismo testuale coeso e al contempo di grande varietà interna, muovendo la sua estrosa vitalità nel racconto condotto in lingue diverse, a seconda delle circostanze e dell’ambientazione. E dunque nel milanese, sempre centrale nella sua opera, ma Loi trova modo di articolare il suo procedere anche in italiano, e poi nel genovese, nel colornese, nel romanesco, in un aperto gioco di felici contaminazioni sorretto da un’energia espressiva e da una carica progettuale interna di insolita forza e capace di coinvolgere il lettore a ogni passaggio. Loi accompagna il poema con una serie di note e capitoli di autocommento che danno ulteriore risalto di idee al quadro complessivo de L’angel e che, con il passare dei decenni, ne accrescono il valore e l’imprescindibile sostanza culturale, e la sempre più evidente e inconfondibile identità di classico della nostra letteratura del Novecento».


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