Contrariamente a quanto si creda nell’opinione corrente, è certamente lecito affermare che il genere romanzesco non sia una invenzione precipuamente moderna. Chi abbia anche solo scolasticamente affrontato studi classici, sa bene che il lungo racconto in prosa affonda le proprie radici, se non addirittura nell’Egitto più remoto, almeno nella letteratura greca dei primi secoli dopo Cristo. A titolo di esempio, basti citare alcuni romanzi greci particolarmente apprezzati e noti al pubblico colto dell’epoca: Cherea e Calliroe di Caritone di Afrodisia; Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio; Dafne e Cloe di Longo Sofista, e molti altri. Amore e avventura sono gli ingredienti tipici di questi “romanzi”, il cui filo conduttore rimane pressoché invariato lungo tutto il corso della narrazione.

Ma senza cadere nel tranello adulatore della classicità, e per tornare alla modernità, il “romanzo moderno”, così come lo s’intende oggi, ebbe la sua acme nel XIX secolo, e la capillarità della sua diffusione – grazie al mezzo stampa e alla pubblicazione periodica su riviste e giornali – fece sì che il pubblico di fruitori e di fruitrici si allargasse anche alle classi sociali meno abbienti. Capolavori come Guerra e Pace, I promessi sposi, Il conte di Montecristo, I miserabili, Anna Karenina, Jane Eyre, e chi più ne ha più ne metta, furono il frutto di una cultura ottocentesca europea fortemente legata alla volontà di onnicomprensività, e l’intento di accogliere l’intero arco esperienziale ed emozionale umano si legò indissolubilmente ad una solida struttura narrativa. Nel Novecento il genere romanzesco mutò sensibilmente, se non radicalmente, rispetto al secolo precedente. Crollarono le certezze, le convinzioni, cambiò la modalità di rappresentazione del reale. Il romanzo esplicativo dell’Ottocento, per citare Giacomo Debenedetti, si trasformò allora in romanzo «interrogativo», perché, e si può dire che sia valido ancora oggi, «l’uomo non sa più (o non sa ancora, non ha riappreso a capire) chi è» (Debenedetti 2019).

Nella seconda metà del Novecento, dopo le tragiche esperienze storiche a tutti note, la letteratura, e qui in particolare la narrativa, subirono ancora una volta un pesante contraccolpo. La civiltà dei consumi, l’incipiente globalizzazione e la massificazione culturale aprirono le porte a nuove e radicali esperienze letterarie, dalle neoavanguardie degli anni Sessanta sino al romanzo del nuovo millennio. Già a partire dagli anni Settanta e Ottanta si registrò nella narrativa una diversa vena poetica. Una nuova società, aperta, multiculturale e tecnologica entrò con vigore tra le pagine dei narratori e delle narratrici esordienti; i classici canoni romanzeschi, ormai divenuti anacronistici e ben poco adatti alla rappresentazione di una realtà liquida e in continuo mutamento, subirono una netta deviazione: cosicché con l’influenza dei cultural studies, dei gender studies, dei black studies, e con nuovi studi sul femminismo, sulle digital humanities e sulla comparazione, la prosa dei nuovi narratori e delle nuove narratrici si modellò alla luce di un fresco respiro globale. Alle soglie del nuovo millennio, e in questo iniziale ventennio, il romanzo allora ha assunto una portata ben più vasta rispetto ai secoli precedenti.

Un ricchissimo affresco della letteratura in prosa, collocabile indicativamente tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento fino alla più stretta contemporaneità, ci è dato da un interessante e corposo volume antologico, composto da quaranta saggi affidati a esperti della disciplina, Il romanzo del nuovo millennio (Mimesis Editore, pp. 1084, €58,00), per le cure di due eminenti studiosi italiani, Giuseppe di Giacomo, professore ordinario di Estetica presso La Sapienza di Roma, e Ugo Rubeo, professore ordinario di Lingue e Letterature angloamericane presso La Sapienza di Roma. Il volume traccia un amplissimo affresco della nuova narrativa in tutto il mondo: si principia dalla letteratura italiana contemporanea fino ad approdare alla più recente letteratura francese, inglese, tedesca, portoghese, cinese, coreana, turca, africana, albanese, giapponese, araba, palestinese, americana… Pur nella sua evidente natura frammentaria, data l’enorme vastità della materia trattata, il volume vuole essere un quadro generale sulle principali esperienze narrative in tutto il mondo, con l’intento di restituire al lettore la realtà di oggi attraverso la letteratura, e con la letteratura accompagnarlo ad una più consapevole comprensione della vita. Solo per estrapolare alcuni esempi tratti dal volume, è così che il dualismo culturale, oscillante tra un forte legame con la terra natia e una civiltà occidentale tanto dissomigliante quanto fascinosa, si affaccia nell’opera di Hanif Kureishi: un rapporto tra origine e attualità «mai totalmente risolto e, anzi, fattosi più complicato con il procedere del tempo, quando ogni antica identità coloniale comincia a rifiutare un semplice processo di assimilazione che ne certifichi la Englishness e interrogarsi sul proprio passato e sulla propria differenza». Sulla socialità della letteratura e sull’importanza dell’azione politica, si colloca la letteratura africana subsahariana francofona. Il realismo della nuova generazione di narratori subsahariani, e in particolare dello scrittore Fiston Mwanza Mujila (1981), nato nella Repubblica Popolare del Congo e autore del romanzo di successo Tram 83, è «teso alla riproduzione di un contesto sociale, ma poi si evolve verso l’immaginario e talvolta l’iniziatico, anche perché le speranze sono state disattese e si cercano delle motivazioni per sopravvivere alla vacuità del mondo». Ma la riflessione sul potere e sulla capacità della letteratura di incidere con un’acuta vena umoristica sulla società contemporanea, si rintraccia anche nello scrittore sudcoreano Park Mingyu (1968), segnalato dalla critica come “il migliore scrittore degli anni 2000”. Nei suoi romanzi, interessanti dal punto di vista formale e per certi versi innovativi, prevale «un interesse per le minoranze e una coscienza critica nei confronti del potere; […] così che le sue fantasie ci rimandano all’umorismo e, insieme, al dolore derivanti dalla dura realtà di un’umanità fratturata». Oggi i mezzi audiovisivi tendono a relegare in un piano marginale la letteratura e la narrazione, in un confronto sempre più sbilanciato a favore dei primi. Ma riscoprire il piacere della lettura, e il fascino di viaggiare in altri luoghi, reali o immaginari che siano, aiuta a dimenticare l’instabilità e l’indebolimento di un tempo presente, a volte irraggiungibile e incapace di cambiamento.


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