Per lei voglio rime chiare
usuali: in – are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine. Rime che a distanza
(Annina era così schietta) conservino l’eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili, anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.

(Per lei, G. Caproni, Poesie (1932-1986), Garzanti)

La poesia, tratta dalla raccolta Il seme del piangere (1959), è una vera e propria dichiarazione poetica: l’autore rivendica la possibilità di esprimersi in poesia con semplicità, rifacendosi anche agli strumenti più inusuali, quali le rime, tanto aborrite dalla poesia delle avanguardie poetiche del Novecento.

Giorgio Caproni nasce a Livorno nel 1912; nella sua lunga carriera poetica, ha cercato di esprimere il disagio dell’uomo che si sente esiliato dai luoghi e dagli affetti, ha cantato vari temi quali la città, il rapporto con la madre (alla quale dedica la poesia Per lei), il viaggio, la natura. La sua poesia intreccia descrizione e sentimento, adoperando inizialmente le forme più melodiche e popolari, per poi approdare a scelte più estreme, in cui l’incomunicabilità è il filo rosso (che lega le ultime raccolte). Forte da una lunga esperienza come critico letterario e traduttore, si spegne a Roma il 22 gennaio 1990, all’età di 78 anni.

Ho provato anch’io.
È stata tutta una guerra
d’unghie. Ma ora so. Nessuno
potrà mai perforare
il muro della terra.

(Anch’io, G. Caproni, Poesie)

In questa brevissima lirica, tratta dalla raccolta Il muro della terra, il poeta approda alla concezione che è impossibile raggiungere la verità a causa dell’esperienza sofferta della vita (una guerra d’unghie), e comprende, soprattutto, che nulla si può comunicare; tuttavia il tono dei versi non è quello della resa e della sconfitta; il lettore può avvertire una sorta di compiacimento, perché il poeta è ora giunto a una lucida coscienza interiore.

Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.

(Versicoli quasi ecologici, G. Caproni, in Res Amissa)

In questa meravigliosa lirica si riscontrano molti dei temi cari al poeta: il rapporto dell’uomo con la natura, l’incontaminato paesaggio, l’amore per il creato, le responsabilità che ogni uomo deve avere nei confronti del mondo, la critica alla società di massa che guasta la bellezza della terra. La lirica invita a ragionare sul tormentato rapporto uomo-natura, da sempre persistente nella storia e nella letteratura mondiale. L’autore pone come incipit della lirica un forte imperativo (Non uccidete il mareNon soffocate il lamento (il canto!) del lamantino.), fonde la natura dell’uomo stesso con il mondo del creato (Il galagone, il pino: anche di questo è fatto l’uomo.), critica coloro che sfruttando ignobilmente il mondo guadagnano a spese della natura, distruggendola e devastandola, ottenendo meriti e grazie. Nei versi finali della lirica il poeta rivede intimamente la bellezza della terra casta, pura e limpida, priva di ogni assuefazione umana. In conclusione, con questi dolcissimi versi il poeta vuole invitare a riflettere su quanto valore abbia la natura nella vita dell’uomo, poiché essa era, è e sarà per sempre la vera anima dell’essere umano.

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.

[…]

Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.

[…]

Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.

[…]

Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.

[…]

Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento.

(Congedo del viaggiatore cerimonioso, G. CaproniCongedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, Garzanti.)

 

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