I più antichi testi in volgare italiano, espressione di un mondo e di una società in profondo cambiamento, sono documenti redatti per un pubblico di cultura non elevata, che percepiva l’antica lingua di Roma, il latino, come estranea alla propria vita e alla propria quotidianità. Queste prime testimonianze scritte del volgare italiano rimangono per molti secoli frammentarie ed episodiche, legate a circostanze soprattutto pratiche (economiche, giuridiche, amministrative ecc.). Già le prime attestazioni indicano, tuttavia, la consapevolezza dell’autonomia del volgare al latino: questo è evidente in due dei documenti più antichi, e più noti, dei volgari italiani: l’Indovinello veronese, risalente all’VIII-IX secolo d.C., e soprattutto il Placito Capuano, dove formule volgari convivono, in varia proporzione, ma sempre nettamente distinte, con espressioni latine. Quest’ultimo è costituto da quattro documenti giuridici che contengono formule in una lingua ormai chiaramente distante dal latino. Sono tre sentenze e una memoria, redatte tra il 960 e il 963; il documento riporta la sentenza («placito») di una controversia, relativa al possesso di alcuni terreni, tra l’abate di Montecassino Aligerno, e il nobile Rodelgrimo di Aquino. A Capua il giudice Arechisi emette la sentenza in favore del monastero, sulla base, in mancanza di altre prove, del giuramento in volgare di tre testimoni procurati dall’abate, i quali confermano il regolare possesso, dopo trent’anni, delle terre da parte del monastero. La formula («Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti», “so che quelle terre, secondo quei confini che qui sono descritti, le possedette per trenta anni l’abbazia di Montecassino”) che il testimone doveva solennemente pronunciare dinanzi al giudice fu scritta in volgare, affinché fosse comprensibile ai testimoni, che provenivano dal contado. Ma i più antichi documenti volgari della nostra lingua furono prodotti fino all’inizio del XIII secolo: dal Glossario di Monza, risalente ai primi decenni del X secolo, al Decime di Arlotto, risalente invece al primo decennio del XIII secolo; dalla Dichiarazione della vedova savonese Paxia (1178-82), al Ritmo cassinese, risalente alla fine del XII secolo, inizio XIII. Tra le nuove pubblicazioni sull’argomento, il volume Antichi documenti dei volgari italiani (Carocci Editore, pp. 304, €29,00, collana Studi Superiori), di Ludovica Maconi (docente di Linguistica italiana all’Università degli Studi del Piemonte Orientale) e Mirko Volpi (docente di Linguistica italiana all’Università degli Studi di Pavia), intende analizzare, attraverso un rigoroso commento storico-linguistico e riproduzioni fotografiche,  i più antichi documenti della nostra lingua, scritti in diversi volgari italiani tra il IX secolo e l’inizio del XIII. I testi sono disposti secondo un ordinamento geografico (Italia settentrionale, Toscana, Italia centro-meridionale e Sardegna) e cronologico, che trova collocazione in una macrostruttura composta da tre sezioni: documenti d’archivio, scritture esposte, frammenti e prime esperienze di poesia in volgare.

Placito Capuano, marzo 960.

Fresco di stampa, il volume La competizione editoriale. Marchi e collane di vasto pubblico nell’Italia contemporanea (1860-2020) (Carocci Editore, pp. 544, €44,00, collana Frecce), di Bruno Pischedda, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università degli Studi di Milano, intende analizzare un secolo e mezzo di imprese legate al libro: formule societarie, organigrammi, consistenza economica; un secolo e mezzo di collane esaminate nei titoli e nelle vendite. Su questo doppio asse si incentra il volume, partendo dalle grandi serie tardo-ottocentesche (di Sonzogno, Treves, Salani), sino alle universali, ai tascabili, ai recenti super-economici; e senza dimenticare collezioni altrimenti prestigiose (di Einaudi, Laterza, Adelphi, Sellerio). Le collane, in sostanza, in quanto veicolo di concorrenza e come occasione per tracciare una diversa storia dell’editoria italiana contemporanea. Un volume che, attraverso la storia dell’editoria italiana, anche osservata attraverso le sue collane, permette di comprendere le logiche concorrenziali, pure visibili nella grafica, nel prezzo, nel formato del libro, e le formule societarie, organigrammi, maggiore o minore consistenza economica, percentuali di vendita, partendo dalle grandi origini ottocentesche fino ai super-economici, ai tascabili di “ultima generazione” e attraversando le collane più importanti e prestigiose. «Senza troppe forzature, le collane potrebbero benissimo restare intese come un genere editoriale, impostosi definitivamente da noi nella seconda metà del XIX secolo, sulla soglia di rapide innovazioni destinate a riformulare in radice il mercato librario tanto dal lato della domanda quanto dal lato dell’offerta. […] Esse valgono nel senso di un raddoppiamento, ovvero in quanto specificazione più robusta del marchio preso nel suo insieme. E dal marchio trascendono poi verso il sistema intero, giacché se molte appaiono le finalità del libro – educativa, informativa, estetica, specialistica – sono le collane a sancirne la simultanea efficacia; lasciando intendere che una grande importanza ha la mise en livre […]: prassi editoriale relativa alla singola opera; ma che più ancora conta la mise en collection, in quanto attitudine regolatrice di ordine superiore (p. 17, dalla Premessa)».

I loghi di alcune famose case editrici italiane (Adelphi, Einaudi, Mondadori, Feltrinelli, Il Saggiatore, Guanda, Rizzoli)

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